A PROPOSITO DI PENSIONI

Non voglio rifare i conti. Altri li fanno certo meglio. Non voglio fare polemica politica. Altri la fanno peggio. Penso alle clamorose menzogne, alla totale ipocrisia di sindacati e compagnucci vari. Una volta, la parola compagni suscitava un senso di rispetto, come merita chi lotta e paga per un’idea sbagliata. Il rispetto che, a Bresso, suscitava il vecchio Andrea Riva. Ma ora chi paga? E chi lotta? Il bel Rutelli, nonno Bertinotti dalla erre moscia, il ben nutrito Pezzotta? Gli imbroglioni, ora, lodano la riforma Dini, perché Dini, ora, è dei loro. Non dicono che con la riforma Dini, così com’è, tra 20 anni, la pensione sarà, al massimo, il 50 % dello stipendio. Non lo dicono perché l’hanno fatta loro, la riforma che ha già rovinato il futuro. La riforma della fame, fatta da “un rospo”. Altro che “difendiamo il futuro”, lo slogan dello sciopero del 24 ottobre. Ma non facciamo polemica. Facciamo una considerazione sola. Quale è l’ideale di ogni Italiano ? (magari anche di ogni straniero; non voglio allargarmi). E’ chiaro: vivere, decentemente, senza lavorare. Chi ci riesce? Quasi nessuno. E allora viva la pensione, subito, appena si può. La pensione è lo strumento alla portata di tutti, per essere come Agnelli, quando era vivo: lavorava se voleva e quando voleva. Il boom economico e la cultura di questi anni ci hanno lasciato l’idea che si possa vivere senza lavorare. Quelli furbi non lavorano. Questo rende incandescente il dibattito. Altrimenti nessuno scenderebbe in piazza per andare in pensione a 57 anni, come ora, e non a 60 o a 65, come sarà dal 2008, e solo per chi non ha maturato il diritto. Per questo nessuno discute di anni in più o in meno. Lottiamo per il diritto a sognare un mondo senza lavoro. Infatti, facciamo lavorare

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OCCHIALI ROSA 2

Francamente, dal 10 gennaio, tre mesi fa (si scrive così, senza accento; chi scrive con l’accento sbaglia) mi sarei aspettato di essere subissato, seppellito, ricoperto di NOTIZIE BUONE, ma non è stato così. Solo una lettrice è intervenuta, promettendo racconti ottimisti. Non l’ha fatto, per ora. Parlo d’ottimismo realista, quello che non censura dolore, vecchiaia e morte, ma sa che non sono né l’unica né l’ultima parola sulla vita. Com’è scritto nel III capitolo, paragrafo 4 punto a, del testo “Perché la Chiesa” di Mons. Luigi Giussani. Non ci sono NOTIZIE BUONE? Non ci badiamo? Mah ? Ne ho trovate due, dalla stampa. “ UN CUORE SANO ? BASTA AVERE DEGLI AMICI?” CityMilano, quotidiano a diffusione gratuita, nel numero del 16 febbraio 2004, informa che un’equipe svedese, paese serio, luterano, un po’ tetro, dal clima orrido, ha studiato 700 individui (dice così; ma non è più bello dire: “persone” ?) per 15 anni. Che ha scoperto? Gli uomini che hanno amici su cui contare, che hanno una buona vita di relazione, dimezzano quasi (-45%) il rischio di problemi cardiaci. Gli uomini, poi, che possono contare sul classico amico per la pelle, quello che non ti abbandona mai, su cui puoi sempre contare nel bisogno, rischiano ancora meno (-58%). L’amicizia fa bene alla salute anche di chi fuma, mangia male, non fa attività fisica. Come mai? L’equipe non capisce i motivi di tale legame, li sta studiando; però è così. Non è una notizia straordinaria? Non è una precisa conferma dell’esperienza cristiana ? Il cristianesimo è così vero, corrisponde tanto ai bisogni profondi dell’uomo, che, senza studi, ha capito che l’uomo sta meglio in un popolo, in un’amicizia, in una trama di rapporti accoglienti. Il Figlio di Dio mi dice: “Sei un amico, non un servo” Lo ha detto Giancarlo Cesana

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Le pensioni hanno la coda?

Naturalmente, no! Ma l’articolo sulle pensioni, sì. Almeno il mio ha la coda. Eccola. Come certamente ricordano i miei 11 lettori, ho scritto in “A proposito di pensioni” che “Anche l’ufficio è noioso”. Lo dicevo così, a naso. Poi lunedì 2 febbraio 2004 molti quotidiani, persino Leggo, che ti regalano in Metro, riportavano un’inchiesta della rivista Riza Psicosomatica (credo sia la moglie di Eta Beta, il pard di Topolino) su 898 persone, tra i 18 e i 65 anni. Ebbene 63 impiegati su 100, in ufficio, sono infelici. Tra questi le donne (56%) sono più numerose degli uomini (44%). Gli infelici hanno un grado d’istruzione alto, abitano prevalentemente in una metropoli, spesso sono senza figli. E come reagiscono ? Il 29% fa di tutto per non pensarci. Come gli struzzi! Ma non volevano tutti fare l’impiegato ? Non era il sogno dell’operaio per suo figlio? L’operaio si sbaglia, come tutti quelli che pensano che il miglioramento nasca dal cambiamento esterno. Molti hanno cambiato casa, per essere felici; ne conosco alcuni: ci sono riusciti ? Altri hanno cambiato moglie, per essere felici: ce l’hanno fatta? L’operaio pensava che i colletti bianchi lavorassero con più gusto di lui, nel pulito degli uffici invece che nello sporco dell’officina. Così ha fatto studiare i figli, che adesso sono infelici non in officina, come i papà, ma in ufficio: è stato un guadagno? La mia nonna diceva: “La cattiva lavandaia non trova mai la pietra adatta per lavare”. Non è quel che si fa, né dove lo si fa che fa la differenza, ma perché e per chi lo sa fa. La negazione della domanda sul perché porta ad errori clamorosi. Tutta la nostra cultura si fonda su questa negazione, su questa censura. Gran parte dell’educazione si occupa della morale e non del senso: pensate

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OCCHIALI ROSA ovvero NOTIZIE BUONE

Buone Notizie è un titolo coperto da copyright, da 2.000 anni. Chi può osare mettersi in concorrenza con il Vangelo, la Buona Novella più famosa al mondo? Per giunta, per stare a tempi più prossimi a noi, il bollettino di AVSI si chiama Buone Notizie. E racconta di straordinari fatti buoni, fatti veri, fatti accaduti oggi, che accadono ancora domani, a gente normale, fatti di gente normale, ai quali possiamo partecipare anche noi. E, infatti, con le Tende di Natale e i pranzi AVSI molti vi partecipano. Le mie siano semplici notizie buone. Tutti sappiamo che il bene non fa notizia, ma il male sì, eccome! Chi starebbe a raccontare con aria di complicità ” Pensa, Enzo e Francesca sono sposati da 25 e stanno ancora insieme, anzi oggi con più coscienza, con più gusto di ieri”? Ma chi non esiterebbe a sibilare: ” Sono sposati da due mesi e lei va a passare il fine settimana da sola a Rimini”? E ho citato fatti veri, non verosimili. Succede così. Facciamo così. Tutti. Ma è giusto? Ma è equilibrato ? Forse staremmo meglio anche noi se cercassimo di cogliere il positivo, in noi e negli altri, e togliessimo i riflettori che abbiamo puntato sui difetti nostri ed altrui. “Io ero un fariseo, ma se il Signor mi aiuta adesso, riuscirò ad amare gli altri ed amerò me stesso”. Forse posso sopportare che il pacco di Natale non sia fatto proprio bene come lo farei io. Forse posso sopportare che un altro faccia una strada diversa da quella che farei io. E allora NOTIZIE BUONE Buone notizie da Palermo. In soli quattro mesi è stata completata la conduttura della diga di Caccamo (ma cambiamole nome !). Ora la città dispone di 1.000 litri al secondo in più. La diga di Caccamo

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TIZIANO PIOVANI

Il 22 settembre 2003, un mese fa, un amico, Tiziano Piovani, si è buttato dalla finestra ed è morto. Era lunedì, una giornata spesso brutta per molti. Non è facile affrontare una nuova settimana; occorre avere qualcuno per cui vivere, più che motivi per vivere. E Tiziano credeva di non aveva più per chi vivere. Per molti, Tiziano era una vecchia conoscenza. Era del 1958, come Fabrizia Recalcati, Pietro Lesma, Danio ed Ennia Martelli, Massimo Ceruti, Luciano Defente, Anna Gabbiani; ai tempi di don Silvano Colombo frequentava la comunità. Io, oriundo bressese, l’ho conosciuto lì e lo ricordo soprattutto per la testa rossa, per la cordialità semplice. Poi aveva fatto l’Alpino, come me, come altri; un legame, un filo, anche questo che ci univa. Un filo tenue. Il lavoro, poi, lo aveva portato lontano, in Oriente, in Tailandia. Ogni tanto era a Bresso per un po’. Lo incontravo per strada, raccontava poco. Sì, stava bene, guadagnava bene, aveva una moglie, aveva un figlio, in Tailandia. Ad un certo punto era sempre in Italia. E la moglie? Stava bene, in Tailandia. E il figlio? Anche lui stava bene, laggiù. C’erano incomprensioni, diversi modi di vedere le cose. Stavano meglio, lui qui e lei là. L’osservazione suggerisce che chi minaccia il suicidio, raramente lo attua; preferisce usarlo come ricatto. Chi lo attua, non lo minaccia. Anzi, a volte, tende ad assicurare che non ci sono problemi, che tutto funziona; ma non è convincente. Al funerale gli Alpini non mancavano. E don Silvano celebrava. Poi, dagli Alpini, non se ne è più parlato. Non si può accettare un suicidio. Un Alpino suicida, poi, è una specie di bestemmia. Però è successo, è un fatto. E i fatti sono ostinati; restano lì, ispidi, pietrosi, ruvidi. E lo sguardo, che proprio non vorrebbe vedere, continua

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