Faccia a faccia con la Musica (prima edizione)

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Giulio Mandara racconta il primo degli incontri:

UNA MUSICA PUÒ FARE…..
“Tempo” e “ritmo” nella musica del ‘900

Da Sant’Agostino a Kant, da Vivaldi ai Beatles e a Caetano Veloso, passando per la musica etnica e il modello ipnotizzante New Age, fino alle ultime sperimentazioni che traspongono in suoni e ritmi la realtà virtuale.
Sono alcuni flash da una serata con il Mo Roberto Andreoni, Direttore dell’Accademia Internazionale della Musica di Milano (già Civica Scuola di Musica), docente di composizione e compositore egli stesso. Con l’aiuto di una presentazione in Power Point e di alcuni esempi musicali (e non solo) ha condotto il pubblico della Sala Conti di Bresso alla scoperta di alcuni concetti base della musica: tempo e ritmo. Talmente dati per scontati che anche i suoi allievi diplomandi non sanno darne una definizione scientificamente esatta. Già: perché la musica – almeno quella occidentale – ha delle regole base molto rigorose, che solo parte dei musicisti colti del XX secolo si sono incaricati di contraddire, tanto da risultare sgraditi al gusto medio.
Il tempo è quello cronologico che viene scandito in pulsazioni (beat), raggruppate in base ad accenti che portano a uno schema regolare, ripetibile e prevedibile (pattern), di appoggio e levata, battere e levare, arsi e tesi. Lo sapevano già i greci, ma oggi sappiamo che questo modo di percepire il ritmo musicale è dovuto a una legge psico-acustica, detta dei raggruppamenti.
Il ritmo poi è fatto di tanti altri elementi: agogica, fraseggio, forma, ed è dato dal modo di organizzare la durata dei suoni (o comunque degli eventi sonori) all’interno di quella stanza vuota che è il metro, la misura (2, 3, 4 tempi) in cui si articola la sequenza di pulsazioni iniziata dall’accento principale.
Abbiamo dovuto citare termini inglesi, perché quelli italiani sono troppo generici: gli italiani usano “tempo” per tutto: pulsazioni, ritmo, velocità, misure… E pensare che la velocità delle pulsazioni (agogica) viene indicata in modo univoco in tutto il mondo proprio con termini italiani: Adagio, Allegro, Presto… Ma in base a cosa, quando non c’erano metronomi e orologi? In base alla velocità del passo dell’uomo.
Bene, questa è un po’ di teoria musicale occidentale. Il ‘900, definito da Andreoni “il secolo della sincope” ha sentito le regole tradizionali del ritmo, del pattern, degli accenti, come gabbia vincolante da cui uscire. E ha deciso che le note principali e i relativi accenti non dovevano cadere in battere: ecco il concetto di sincope. Tutta la musica Jazz e latino-americana è giocata su questo. Più ancora quella africana: il ritmo non si conta, si cadenza con la danza. Il ritmo cambia a seconda di quante volte in una sequenza di pulsazioni appoggio le gambe per terra. Per l’africano la musica richiede il ballo, il coinvolgimento del corpo.
E infine ci sono le derive della musica contemporanea: quella commerciale, banale fino all’ossessione, giocata sullo schema ABA e sull’uso irrinunciabile di batteria e chitarra elettrica, come se senza queste il ritmo non esistesse. E quella della la musica colta, che scavalca i concetti base tradizionali del ritmo fino a perdere il “battere” e creare sequenze infinite di suoni, con un effetto angosciante (come in “Caduta” di Jean Claude Risset). O ancora a sovrapporre orchestre e cori che eseguono brani autonomi e tutti diversi per ritmo e strumentazione, come fa Ennio Morricone nella scena finale di “Mission”, ripresa per le Olimpiadi di Los Angeles come metafora della convivenza di razze e popoli diversi. Fino allo studio “Canone a X” di Conlon Nancarrow, compositore americano del ‘900 che ha bucato il tamburo di una pianola meccanica in modo da ottenere l’incrocio, a X appunto, di due scale di suoni, una ascendente che va infittendosi, e una discendente che va diradandosi, con ritmi totalmente sfasati, eccetto nel punto d’incrocio delle due scale, in cui i due suoni sono sincronizzati. La fine del brano, che dura pochi minuti ma sembra un vortice infinito, è una vera liberazione.
Tutte queste teorie e tecniche meritano di essere conosciute per farsi un senso musicale critico e distinguere la musica dal semplice suono, che può diventare perfino uno strumento di manipolazione più o meno occulta. Ma soprattutto, mai spegnere la passione, la curiosità sincera per il mondo dei suoni.

Giulio Mandara