Il 22 settembre 2003, un mese fa, un amico, Tiziano Piovani, si è buttato dalla finestra ed è morto. Era lunedì, una giornata spesso brutta per molti. Non è facile affrontare una nuova settimana; occorre avere qualcuno per cui vivere, più che motivi per vivere. E Tiziano credeva di non aveva più per chi vivere. Per molti, Tiziano era una vecchia conoscenza. Era del 1958, come Fabrizia Recalcati, Pietro Lesma, Danio ed Ennia Martelli, Massimo Ceruti, Luciano Defente, Anna Gabbiani; ai tempi di don Silvano Colombo frequentava la comunità. Io, oriundo bressese, l’ho conosciuto lì e lo ricordo soprattutto per la testa rossa, per la cordialità semplice. Poi aveva fatto l’Alpino, come me, come altri; un legame, un filo, anche questo che ci univa. Un filo tenue. Il lavoro, poi, lo aveva portato lontano, in Oriente, in Tailandia. Ogni tanto era a Bresso per un po’. Lo incontravo per strada, raccontava poco. Sì, stava bene, guadagnava bene, aveva una moglie, aveva un figlio, in Tailandia. Ad un certo punto era sempre in Italia. E la moglie? Stava bene, in Tailandia. E il figlio? Anche lui stava bene, laggiù. C’erano incomprensioni, diversi modi di vedere le cose. Stavano meglio, lui qui e lei là. L’osservazione suggerisce che chi minaccia il suicidio, raramente lo attua; preferisce usarlo come ricatto. Chi lo attua, non lo minaccia. Anzi, a volte, tende ad assicurare che non ci sono problemi, che tutto funziona; ma non è convincente. Al funerale gli Alpini non mancavano. E don Silvano celebrava. Poi, dagli Alpini, non se ne è più parlato. Non si può accettare un suicidio. Un Alpino suicida, poi, è una specie di bestemmia. Però è successo, è un fatto. E i fatti sono ostinati; restano lì, ispidi, pietrosi, ruvidi. E lo sguardo, che proprio non vorrebbe vedere, continua
Leggi tutto